È curioso notare come il vero potere di un marchio globale non risieda tanto nella sua diffusione internazionale, quanto nella capacità di sembrare vicino, familiare. Ma allora, perché la comunicazione e la pubblicità localizzate sono così importanti? Le ragioni principali sono quattro:
Vediamo ora due casi opposti: un brand che ha saputo eccellere nella comunicazione localizzata e uno che, al contrario, ha pagato caro un approccio “uguale per tutti”.
Nel cuore di Treviso, La Gioiosa prende nome e ispirazione dal motto storico di Valdobbiadene: “La Marca di Treviso, la Gioiosa et Amorosa.” Fondata negli anni ’70 come azienda a conduzione familiare, oggi La Gioiosa produce diverse tipologie di Prosecco, utilizzando tecniche innovative ed ecosostenibili. Ma il successo internazionale del marchio va oltre la qualità delle sue bollicine.
Il Prosecco, con la sua acidità vivace e i suoi profumi fruttati, si abbina perfettamente a molti piatti della cucina asiatica, anche quelli più speziati e fritti, risultando spesso più gradito rispetto allo Champagne tradizionale. Inoltre, intuendo l’interesse crescente del mercato cinese per i vini rosati, La Gioiosa ha lanciato il Prosecco DOC Rosé Brut, rapidamente diventato molto popolare in Cina. Il marchio ha scelto di mantenere il proprio nome italiano – che significa appunto “La Gioiosa” – facendo leva sull’attrattiva che i prodotti autenticamente italiani esercitano sul pubblico cinese.
In Cina, La Gioiosa utilizza diversi slogan, dal più aspirazionale “La scelta gioiosa dall’Italia” a espressioni poetiche come “Il frizzio della vita, la gioia della festa”, che evocano emozioni legate al piacere e alla celebrazione. In Europa, invece, slogan come “L’Italia che tutto il mondo ama” o “Gioia in ogni bollicina” puntano sull’eleganza e sul gusto autentico.
Anche il tono della comunicazione e le immagini cambiano sensibilmente: in Cina, il focus è sull’eredità italiana, sulla qualità e sul romanticismo; vengono spesso valorizzate le origini trevigiane del brand e le tradizioni vinicole. Le etichette sono in italiano e il materiale promozionale mostra scorci suggestivi dei vigneti veneti. In Europa, invece, le campagne pubblicitarie mostrano momenti conviviali, sottolineando il ruolo del Prosecco nelle occasioni felici.
Infine, anche i canali di comunicazione sono fortemente differenziati: in Cina, La Gioiosa sfrutta piattaforme locali come Xiaohongshu (Red), Tmall e collaborazioni con influencer (KOL), oltre a partnership originali come quella con Dal Cuore Gelato, che ha portato alla creazione di coni brandizzati accompagnati da mini bottiglie di prosecco. In Europa, invece, l’attenzione è rivolta a collaborazioni con punti vendita, fiere del vino ed eventi di degustazione, sempre con l’accento sull’artigianalità e il legame con il territorio.
Cosa succede quando un colosso globale si presenta in ogni mercato con la stessa formula? È il caso di Uber, che nel 2013 è approdata in Cina con il nome “优步” (Yōubù), utilizzando slogan come “viaggiare con stile” e “risparmiare tempo”. Il risultato? Una comunicazione fredda e impersonale, che non si è mai chiesta: “Cosa vogliono davvero i passeggeri cinesi?”.
E questo è stato solo l’inizio. Uber ha esordito con il servizio di fascia alta UberBlack, introducendo solo in un secondo momento l’opzione più accessibile UberX. Così facendo, ha rafforzato la percezione di un servizio elitario, lontano dalla quotidianità. Ancora peggio, ha deciso di restare su un’app autonoma invece di integrarsi con WeChat o Alipay, obbligando gli utenti a cambiare piattaforma per richiedere una corsa.
Nel frattempo, il competitor locale Didi Dache ha costruito ogni campagna attorno alla cultura e alle emozioni del pubblico cinese: racconti toccanti legati al Capodanno Lunare, storie di famiglia e un tono amichevole e rassicurante che ha reso il servizio parte integrante della vita di tutti i giorni. Didi ha anche integrato il servizio direttamente dentro WeChat, rendendo tutto più semplice e fluido.
Alla fine, il vero errore di Uber non è stato nella tecnologia o nella strategia commerciale, ma nell’incapacità di ascoltare, adattarsi e parlare la lingua – in tutti i sensi – del proprio pubblico.